“In occasione della recente visita a Taranto della Commissaria Europea per la coesione e le riforme Elisa Ferreira, da più parti è stata riaffermata la “vocazione industriale di Taranto”. Ritengo opportuno fare qualche riflessione con riferimento ad una città nella quale il 70% delle imprese sono del terziario, e che rappresenta certamente una grande realtà industriale ma sulle cui vocazioni qualcosa può certamente essere detta.
Prima di tutto un interrogativo: quali sono i fattori che determinano la vocazione produttiva di un territorio ? Certamente le risorse naturali locali e, per la Taranto di un tempo ma anche per quella di oggi, il mare, la pesca e la mitilicoltura, l’agricoltura. Un cenno anche ad un requisito immateriale di grande portata che ci siamo persi per strada: la cultura, dalla Magna Grecia a qualche anno addietro. Ancora, la configurazione sociale dei cittadini, il loro essere, le loro attitudini, le loro aspettative e le loro disponibilità. La vicinanza o meno di un territorio ad altri economicamente sviluppati in una certa direzione e quindi in grado di determinare influenze e alimentare collaborazioni. Il sistema dei trasporti e delle comunicazioni, esistente o facilmente realizzabile. Acquisito tutto ciò , quale strumento per far evolvere un territorio in modo armonico, volendo assecondare le “vocazioni territoriali”?
Quello che è sempre mancato a Taranto, dai tempi nei quali era abitata solo l’Isola e si viveva esclusivamente di pesca e di molluschi, sino ad oggi: una programmazione strategica. Se Taranto avesse avuto una vocazione industriale non avremmo avuto la Marina Militare e neppure l’Italsider, interventi calati dall’alto per creare occupazione che mancava e che hanno usato violenza alle caratteristiche di un territorio che erano ben diverse, e che hanno rischiato di essere completamente distrutte. Oggi, indipendentemente dai “soliti fattori”, qualcosa di molto importante si muove in armonia con il sentimento di molti tarantini, dando un segnale di possibile cambiamento. Il mare, l’agricoltura, la cultura, tornano a identificare il nostro territorio e, per fortuna, in questi ambiti si rivelano finalmente dirigenze capaci di spendersi per la collettività e il suo benessere. Ovviamente, purché non vengano soffocate dai “soliti fattori”.